Il Condominio

IL  CONDOMINIO

     Con il termine condominio si definisce una proprietà in comune con altri soggetti, sia fisici che giuridici.

     Di fatto abbiamo conoscenza che già nel “diritto romano” si evidenziava una proprietà privata ereditata da un genitore e rimasta indivisa tra i figli di quest’ultimo ovvero tra i fratelli (consortium).

     Successivamente si è sviluppato il concetto di proprietà in comune ovvero di divisione pro quota con ripartizione proporzionale dei diritti e degli obblighi con forme di tutela analoghe al diritto moderno (rei vindicatio partiaria).

     Attualmente, il condominio negli immobili è disciplinato dal codice civile italiano ed in particolare dagli articoli dal 1117 al 1139, e con la successiva legge n. 220 dell’11 dicembre 2012, entrata in vigore il 18 giugno 2013, sono stati modificati alcuni aspetti della materia, aggiornandoli e svecchiandoli, ovvero prendendo atto di gran parte della giurisprudenza.

     L’art. 1117 c.c., stabilisce quali sono le parti in comune dell’edificio, pertanto ciascun proprietario, definito con il termine di condomino, vanta un diritto di uso della cosa in comune ed è soggetto alle spese di mantenimento della stessa secondo la propria quota parte.

     Tale comunione è forzosa, nel senso che un proprietario non può rinunciare al proprio diritto su tali parti comuni per sottrarsi al pagamento delle spese (art. 1118, comma 2, c.c.).

     Fatto “1.000” l’intero valore dell’edificio, la quota di proprietà di ciascun condomino è espressa in millesimi, pertanto tale rapporto è evidenziato in apposite tabelle denominate appunto tabelle millesimali, e più precisamente nella tabella millesimale di proprietà. Tale tabella millesimale è madre di tutte le altre tabelle e tutte insieme, a seconda della loro natura, sono utilizzate per ripartire proporzionalmente i costi condominiali ai vari condòmini.

     In particolare la tabella di proprietà è utilizzata per la determinazione delle maggioranze di costituzione delle assemblee e per le votazioni delle delibere.

L'assemblea di condominio, nell'ordinamento giuridico italiano, è l'organo deliberante del condominio, disciplinato dagli art. 1135, 1136 e 1137 del codice civile.
Hanno diritto di partecipare all'assemblea tutti i condòmini, che devono quindi essere avvisati in maniera certa almeno 5 giorni prima, attraverso posta raccomandata o mail certificata. La riforma del 2012 all'articolo 66 disp. att. cc. ha formalizzato le modalità di convocazione (raccomandata, pec o fax) eliminando finalmente le incertezze in materia.

L'assemblea decide sul regolamento di condominio, sulla nomina dell'amministratore, sulla gestione ordinaria e straordinaria del condominio e si esprime a doppia maggioranza (millesimi e teste), che varia a seconda di quello che viene deliberato nel rispetto dell’ordine del giorno.

Quindi l’assemblea è l’organo deliberativo del condominio e può essere definita quale «riunione dei condòmini, convocati in un luogo e in un tempo determinati, per prendere le opportune decisioni» (Sforza). Più precisamente «è la riunione nella quale ciascuno dei partecipanti alla comunione ha l’opportunità di esprimere, attraverso il voto, la propria volontà» (Lovati, Monegat).

L’assemblea è l’organo sovrano del condominio ed in tale veste può deliberare su qualsiasi tematica di interesse comune, e può adottare qualsiasi provvedimento, anche non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio, sempre che non si tratti di provvedimenti volti a perseguire finalità al di fuori dell’utilizzo dei beni in comune.
L’art. 1135 c.c. stabilisce le attribuzioni dell’assemblea dei condòmini ed a tale proposito, per pronto riferimento, si riporta integralmente quanto pubblicato nel sito della Gazzetta Ufficiale:

  “Art. 1135.
 
Attribuzioni dell'assemblea dei condomini.
 
Oltre a quanto è stabilito dagli articoli precedenti, l'assemblea dei condomini provvede:
1) alla conferma dell'amministratore e all'eventuale sua retribuzione;
2) all'approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l'anno e alla relativa ripartizione tra i condomini;
3) all'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore e all'impiego del residuo attivo della gestione;
4) alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all'ammontare dei lavori; se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti.
L'amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea.
L'assemblea può autorizzare l'amministratore a partecipare e collaborare a progetti, programmi e iniziative territoriali promossi dalle istituzioni locali o da soggetti privati qualificati, anche mediante opere di risanamento di parti comuni degli immobili nonché di demolizione, ricostruzione e messa in sicurezza statica, al fine di favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, la vivibilità urbana, la sicurezza e la sostenibilità ambientale della zona in cui il condominio è ubicato.”

  Si precisa che l’elencazione operata dalla norma ha carattere meramente esemplificativo: l’assemblea infatti può, come accennato in precedenza, adottare qualsiasi provvedimento anche non previsto dalla legge o dal regolamento, purché l’oggetto della delibera non sia una questione che riguardi le proprietà esclusive.

  L’assemblea, tuttavia, nel disciplinare l’uso delle cose comuni non è esente da limitazioni: così, ad esempio, una deliberazione assembleare adottata a maggioranza non può alterare la destinazione delle cose comuni o ridurre la sfera dei poteri e delle facoltà che normalmente caratterizzano il contenuto del diritto di proprietà dei singoli condòmini sui beni comuni (Cass. 24-3-1972, n. 899).
Di primaria importanza è la modalità di convocazione dell’assemblea condominiale, sia di quella ordinaria che straordinaria, da effettuarsi tramite l’avviso di convocazione.

L’assemblea, come previsto dall’art. 66, disp. att. c.c, è convocata annualmente in via ordinaria per le deliberazioni di cui all’art. 1135 c.c., ma può essere convocata anche in via straordinaria dall’amministratore quando questi lo ritenga necessario o quando ne sia fatta richiesta da almeno due condòmini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio.

Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i richiedenti possono provvedere direttamente alla convocazione.

Quando non c’è un amministratore, l’assemblea (sia ordinaria che straordinaria) può essere convocata ad iniziativa di ciascun condomino.

L’art. 66 cit., prevede una distinzione tra assemblea ordinaria e assemblea straordinaria ed a tale proposito la sostanziale diversità è dovuta alla discussione obbligatoria, in seno all’assemblea ordinaria, di argomenti, quali l’approvazione del bilancio consuntivo e preventivo, le dimissioni e la nomina dell’amministratore.

La mancata approvazione dei bilanci, protratta per due anni, dà diritto a ciascun condomino di chiedere giudizialmente la revoca dell’amministratore per grave inadempimento (Cusano).

La giurisprudenza ha affermato che ai fini della validità di una delibera assembleare è privo di qualunque rilievo il fatto che la delibera sia stata adottata in un’assemblea straordinaria piuttosto che in un’assemblea ordinaria, visto che non esistono, tra le competenze di questi due tipi di assemblea, differenze di sorta, né sono previsti differenti quorum per la legale costituzione delle assemblee medesime, essendo l’assemblea straordinaria menzionata dall’art. 66 cit., in opposizione a quella ordinaria, solo per disporre che quest’ultima deve essere convocata annualmente, mentre l’assemblea straordinaria può essere convocata in qualsiasi momento in caso di necessità (Cass. 8-6-1984, n. 3456).
Come sancito nell’art. 1136, 6° co., c.c., l’assemblea non può deliberare se non consta che tutti i condòmini siano stati invitati alla riunione. L’art. 66, ult. co., disp. att. c.c., inoltre, stabilisce che l’avviso di convocazione debba essere comunicato ai condòmini almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza.

Questo significa che ogni condomino ha il diritto di intervenire all’assemblea e deve quindi essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l’avviso di convocazione sia non solo inviato, ma anche ricevuto nel previsto termine di cinque giorni (Cass. 22-11-1985, n. 5769).

Detto termine, che è messo a tutela del diritto all’informazione spettante a ciascun condomino, va inteso nel senso che tra il giorno di ricezione dell’avviso di convocazione ed il giorno della seduta assembleare intercorrano non meno di cinque «giorni liberi», pertanto nel relativo calcolo non devono essere considerati né il primo giorno né l’ultimo.

L’invito alla riunione non è soggetto a particolari formalità, ed è pertanto sufficiente che ciascuno dei partecipanti abbia avuto, in qualsiasi modo, notizia della convocazione (Cass. 23-5-1975, n. 2050).

Nell’avviso deve essere indicato il giorno, il luogo e l’ora dell’adunanza, deve sempre contenere l’ordine del giorno e le materie che saranno trattate, allo scopo di mettere ciascun condomino in condizione di votare con cognizione di causa. Questo non vuol dire che «l’avviso di convocazione debba necessariamente contenere un’analitica e dettagliata specifica degli argomenti da trattare, ma semplicemente indicare con chiarezza, anche se in forma sintetica, gli argomenti e i problemi connessi alle materie poste all’ordine del giorno» (Lovati, Monegat).

La comunicazione a tutti i condòmini dell’avviso di convocazione è presupposto di validità della costituzione dell’assemblea, con la conseguenza che le delibere adottate senza il rispetto di tale formalità sono nulle e tale nullità può essere fatta valere da qualsiasi condomino, anche se presente all’assemblea (Cass. 29-7-1978, n. 3798).

L’inadempienza nei termini temporali sopra citati della comunicazione della data fissata per l’assemblea implica un’ipotesi di contrarietà alla legge della deliberazione assembleare, che comporta l’annullabilità di quest’ultima entro il termine di trenta giorni.

Alle assemblee convocate per deliberare sulle spese e sulle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria, l’art. 10, L. 27-7-1978, n. 392, prevede che il conduttore sia legittimato a partecipare in sostituzione del proprietario. A tale proposito la giurisprudenza ha precisato che, anche in tale ipotesi, l’avviso debba essere comunicato al proprietario, essendo quest’ultimo tenuto ad informare il conduttore dell’avviso di convocazione, senza che le conseguenze della mancata convocazione del conduttore possano farsi ricadere sul condominio, che rimane estraneo al rapporto di locazione (Cass. 22-4-1992, n. 4802).

Se l’art. 66 comma 3 disp. att. c.c. dispone che l’avviso di convocazione, con indicazione dell’ordine del giorno, debba essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, tali forme di convocazione debbono essere considerate tassative (Trib. Genova n. 3350 del 23/10/2014).

Il modo più diffuso per convocare l’assemblea di condominio è quello della raccomandata, con avviso di ricevimento, che è essenziale allorché dovessero insorgere contestazioni in merito all’effettiva ricezione della busta. Tuttavia si registra un aumento dell’invio dell’avviso di convocazione tramite posta elettronica certificata (PEC), che consente di inviare email, con valore legale, in sostituzione della tradizionale raccomandata A/R.

La pec ha lo stesso valore di una raccomandata, con ricevuta di ritorno, ma racchiude vantaggi ulteriori in termini di rapidità, sicurezza e soprattutto economicità, per chi la riceve. Infatti la pec non costa nulla per il condomino-destinatario, mentre le spese di invio della raccomandata a/r, contenente l’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale, sono a carico dello stesso condomino-destinatario e vengono rendicontate come sue spese individuali.

È noto che le spese postali di spedizione dell’avviso di convocazione dell’assemblea debbono correttamente essere escluse dal conto generale di gestione del condominio, in quanto rispondono piuttosto all’interesse individuale dei condomini destinatari dello stesso avviso di convocazione dell’assemblea (Trib. di Genova del 21/01/1993).

La pec ha però un limite, che è rappresentato dal fatto di non poter dimostrare il testo degli eventuali allegati. La pec fornisce prova soltanto dell’invio e del ricevimento della comunicazione, nonché della presenza di eventuali allegati, ma non del loro contenuto. A tale proposito, nel caso di un avviso di convocazione di assemblea condominiale inviato, con pdf o word allegato alla pec, l’amministratore non potrà provare il contenuto di tale allegato.

Quindi si consiglia di inserire il testo dell’allegata convocazione nel corpo della posta elettronica certificata, in quanto la pec certificherà anche tale contenuto. In buona sostanza l’amministratore, dopo aver allegato la convocazione alla pec, potrà scrivere nel corpo della stessa pec una formuletta del tipo: “si riporta di seguito il testo del file allegato di cui si chiede l’apertura…” procedendo a ricopiare fedelmente il testo dell’avviso di convocazione.
L’art. 1136 c.c. stabilisce la costituzione dell’assemblea e la validità delle delibere ed a tale proposito, per pronto riferimento, si riporta integralmente quanto pubblicato nel sito della Gazzetta Ufficiale:

“Art. 1136.  Costituzione dell'assemblea e validità delle deliberazioni  L'assemblea in prima convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e la maggioranza dei partecipanti al condominio. Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio. Se l'assemblea in prima convocazione non può deliberare per mancanza di numero legale, l'assemblea in seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima. L'assemblea in seconda convocazione è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'intero edificio e un terzo dei partecipanti al condominio. La deliberazione è valida se approvata dalla maggioranza degli intervenuti con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell'edificio. Le  deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell'amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità e le deliberazioni di cui agli articoli 1117-quater, 1120, secondo comma, 1122-ter nonché 1135, terzo comma, devono essere sempre approvate con la  maggioranza stabilita dal secondo comma del presente articolo. Le deliberazioni di cui all'articolo 1120, primo comma, e all'articolo 1122-bis, terzo comma, devono essere approvate dall'assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio. L'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti gli aventi diritto sono stati regolarmente convocati. Delle riunioni dell'assemblea si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall'amministratore.  ----------------   AGGIORNAMENTO (87) La L. 5 agosto 1978, n. 457, come modificata dalla L.  17 febbraio 1992, n. 179 ha disposto (con l'art. 30, comma 2) che "In deroga agli articoli 1120, 1121 e 1136, quinto comma, del codice civile gli interventi di recupero relativi ad un unico immobile composto da più unità immobiliari possono essere disposti dalla maggioranza dei condomini che comunque rappresenti almeno la metà del valore dell'edificio". “

L’art. 1136, 1° co., c.c. stabilisce che l’assemblea sia regolarmente costituita con l’intervento di tanti condòmini che rappresentino i due terzi del valore dell’intero edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio.

Il sistema utilizzato, dunque, è misto, nel senso che alla regolarità della costituzione dell’assemblea  concorrono due criteri, quello delle «teste» (i due terzi dei partecipanti al condominio) e quello del «valore» (due terzi del valore dell’intero edificio).

Quanto alla costituzione dell’assemblea in seconda convocazione, questa deve ritenersi regolare quando siano presenti tanti condòmini che rappresentino un terzo del valore dell’edificio ed almeno un terzo dei partecipanti al condominio: «a tale conclusione si giunge, nel silenzio della legge, osservando che tale maggioranza è richiesta per poter validamente deliberare nell’assemblea di seconda convocazione. D’altro canto, l’assemblea che si costituisca con un numero di condòmini e di millesimi inferiore non sarebbe in grado di deliberare» (Lovati, Monegat).

La norma in esame è espressamente dichiarata inderogabile dall’art. 1138, ult. co., c.c., per cui neanche un regolamento di natura contrattuale potrebbe prevedere diverse maggioranze per la regolarità della costituzione dell’assemblea. Al riguardo va precisato che l’amministratore è tenuto a dar conto, nel verbale, della mancata costituzione dell’assemblea in prima convocazione. Ove ciò non avvenisse, nell’assemblea da tenersi in seconda convocazione dovranno applicarsi i quorum previsti per la prima, a pena di nullità delle stesse deliberazioni (Cusano).
Sulla base dell’art. 1136 c.c., se l’assemblea non può deliberare per mancanza di numero, l’assemblea di seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima; la deliberazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti 1/3 dei partecipanti al condominio e almeno 1/3 del valore dell’edificio.

Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell’amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore medesimo, nonché le deliberazioni che riguardano la ricostruzione dell’edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità devono essere sempre prese con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio.

Le deliberazioni che hanno, invece, ad oggetto le innovazioni previste dall’art. 1120, 1° co., c.c., devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio ed i 2/3 del valore dell’edificio.

L’art. 1136 c.c., inderogabile ai sensi dell’art. 1138, ult. co., c.c., dunque, distingue tre categorie di atti, ciascuna delle quali richiede, per la validità delle deliberazioni, una maggioranza diversa:

  • per gli atti che non eccedono l’ordinaria amministrazione e per le riparazioni straordinarie di non grande entità, un numero di voti che rappresenti, in prima convocazione, la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio e, in seconda convocazione, 1/3 dei partecipanti al condominio ed almeno 1/3 del valore dell’edificio;


  • per gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazionee che non costituiscono innovazioni, un numero di voti che rappresenti, sia in prima che in seconda convocazione, la maggioranza degli intervenuti e la metà del valore dell’edificio;


  • per le innovazioni, un numero di voti che rappresenti, in prima e in seconda convocazione, la maggioranza dei condòmini e i 2/3 del valore dell’edificio.


Va ricordato, peraltro, che leggi speciali hanno modificato, per alcune materie, le maggioranze prescritte per la validità delle deliberazioni assembleari (cfr. artt. 9, 11, L. 24-3-1989, n. 122, in materia di parcheggi; L. 9-1-1991, n. 10, in materia di riscaldamento).
Ai sensi dell’art. 67, 1° co., disp. att. c.c., ogni condomino può farsi rappresentare in assemblea da altra persona.

Tale norma è dichiarata inderogabile dall’art. 72 disp. att. c.c., per cui è invalida una clausola regolamentare, anche di natura contrattuale, che disponga altrimenti.

Comunque tale diritto di rappresentanza può essere regolamentato.

Infatti la giurisprudenza ha affermato che la clausola regolamentare che limita il potere di rappresentanza, nel senso di consentirne l’esercizio solo tramite determinate persone, quali ad esempio parenti o altro condomino, non contrasta con il disposto dell’art. 67 cit., in quanto la disciplina posta da tale articolo non osta alla regolamentazione del diritto di farsi rappresentare quanto alle concrete modalità di esercizio (Cass. 11-8-1982, n. 4530).

Inoltre il regolamento condominiale può prevedere limiti al numero di deleghe conferite ad un solo condomino.

Qualora un condomino sia fornito di un numero di deleghe superiore a quello consentito, si configura un vizio nel procedimento di formazione della delibera, che dà luogo non ad un’ipotesi di nullità della delibera stessa, bensì ad un caso di annullabilità ex art. 1137 c.c.(Cass. 12-12-1986, n. 7402).

Nel merito è opportuno precisare che, affinché la delibera possa considerarsi viziata, è necessario che i voti invalidi siano proprio quelli che hanno determinato il raggiungimento del numero legale e del quorum necessario. Ove ciò non si verifichi, la giurisprudenza, ricorrendo a quella che in diritto processuale amministrativo viene definita «prova di resistenza», tende a considerare ugualmente valida la delibera, sul rilievo dell’assoluta ininfluenza, sul piano sostanziale, della dichiarazione di illegittimità dei voti invalidamente esercitati (Cusano).

Inoltre è possibile, ma sconsigliato, farsi rappresentare in assemblea dall’amministratore, infatti la giurisprudenza si è espressa favorevolmente, affermando che un condomino può legittimamente delegare l’amministratore a partecipare alle assemblee (a maggior ragione nel caso in cui l’amministratore medesimo sia anche condomino).

E’ necessario però verificare, nel caso concreto, se si configuri un conflitto, anche solo potenziale, tra amministratore e condominio. Può in caso affermativo essere applicato in via analogica l’art. 2373 c.c., che prevede l’impugnabilità della delibera, previo esperimento della c.d. prova di resistenza (Trib. Barcellona Pozzo Di Gotto, 5-12-1994, n. 328).

Tale conflitto è certamente presente nelle materie relative alla discussione ed approvazione del bilancio consuntivo e alla nomina o riconferma dell’amministratore. Pertanto ove l’amministratore rappresenti per delega la maggioranza dei presenti all’assemblea, le relative delibere devono considerarsi annullabili, in quanto non vi è stata la possibilità di un concreto dibattito su argomenti relativamente ai quali l’amministratore potrebbe avere un interesse personale in contrasto con quello del condominio.

Quanto, infine, ai rapporti intercorrenti tra rappresentante e rappresentato, questi sono disciplinati dalle regole del mandato, con la conseguenza che solo il delegante è legittimato a far valere gli eventuali vizi della delega (Cass. 26-4-1994, n. 3952).
Hanno il diritto a partecipare i seguenti soggetti:
  • Il proprietario 1136, 1° co. c.c.
 
  • Un proprietario pro quota (comunione) Art. 67 att. c.c.
 
  • Il nudo proprietario (per le delibere in materia Art. 67 att. c.c. di innovazioni o manutenzioni straordinarie)
 
  • L’usufruttuario (quando si delibera in materia di Art. 67 att. c.c. ordinaria manutenzione o godimento dei beni comuni)
 
  • Il conduttore (nel caso di delibere in merito alla Art. 10 L. 27-7-1978, n. 392 gestione del riscaldamento o del condizionamento d’aria)
L’art. 1137 c.c. stabilisce la possibilità di impugnazione delle delibere dell’assemblea ed a tale proposito, per pronto riferimento, si riporta integralmente quanto pubblicato nel sito della Gazzetta Ufficiale:

“Art. 1137.   Impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea.   Le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini.

Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.

L'azione di annullamento non sospende l'esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità giudiziaria.

L'istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell'inizio della causa di merito non sospende né interrompe il termine per la proposizione dell'impugnazione della deliberazione. Per quanto non espressamente previsto, la sospensione è disciplinata dalle norme di cui al libro IV, titolo I, capo III, sezione I, con l'esclusione dell'articolo 669-octies, sesto comma, del codice di procedura civile.”

In riferimento al concetto di violazione di legge, questo deve ritenersi sussistente allorquando non vengano osservate le norme procedimentali prescritte per l’adozione delle deliberazioni assembleari. Ulteriori vizi della delibera possono essere assimilabili all’eccesso di potere (allorquando la delibera, sebbene non sia nulla né inefficace, sia gravemente pregiudizievole alle cose o ai servizi comuni) ed all’incompetenza (che può essere rinvenuta ove l’assemblea invada la sfera di attribuzioni dell’amministratore).

Riguardo alla legittimazione ad impugnare, la giurisprudenza non è univoca.

Alcune pronunce della Cassazione, infatti, escludono che sia legittimato ad impugnare chi, intervenuto in assemblea, si sia successivamente astenuto o si sia allontanato.

La giurisprudenza di merito, invece, riconosce in via generale la legittimazione ad impugnare anche all’astenuto.

Va condivisa quella impostazione che, cercando una soluzione di compromesso, afferma la necessità di operare una distinzione:

  • l’astenuto non ha diritto ad impugnareperché con il proprio atteggiamento dimostra di non avere alcun interesse alla formazione della delibera;

  • l’assente, o colui che si sia allontanato dall’assemblea prima del voto, invece, non avendo partecipato all’assunzione della delibera, può anche non condividerla, e dunque non gli si può negare la possibilità di impugnarla.


L’art. 1137, 2° co., c.c., stabilisce che l’autorità giudiziaria può ordinare la sospensione della delibera impugnata.

Tale sospensione ha luogo allorquando vi sia il concreto pericolo di un danno irreparabile, e può essere revocata ove tale pericolo venga meno.

Non è ammissibile un’azione mirante soltanto ad ottenere la sospensione della delibera, e non anche l’annullamento della stessa (Cass. 22-10-1959, n. 3033).

Nel caso, poi, in cui un condomino sia intervenuto all’assemblea di condominio a mezzo di un delegato, e quest’ultimo abbia approvato una delibera concernente un argomento non all’ordine del giorno, il condomino potrà ugualmente impugnare la delibera, in quanto il delegato ha agito al di fuori dei limiti del suo mandato, non potendo la delega avere per oggetto un argomento non conosciuto dal delegante (Trib. Milano 6-4-1961, n. 1385).

Il regime fin qui esposto non si applica alle deliberazioni nulle, le quali sono impugnabili in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse (e, quindi, anche dal condomino che abbia partecipato con il suo voto favorevole alla formazione della delibera impugnata).

Sono da considerarsi nulle le delibere che difettano di elementi essenziali o che sono state adottate al di fuori dell’assemblea, ovvero adottate senza che siano stati convocati tutti i condòmini.

Sono, altresì, nulle le delibere adottate senza il rispetto delle prescritte maggioranze, siano esse costitutive o deliberative, o quelle con oggetto impossibile, illecito o indeterminato, o che dispongano innovazioni che non importano miglioramenti o miglior godimento delle cose comuni.

Sono, invece, da considerarsi affette da nullità relativa, e quindi impugnabili in ogni tempo dai soli condòmini dissenzienti che abbiano a risentire pregiudizio dall’applicazione della delibera, le deliberazioni che violano o ledono i diritti di alcuni o anche di un solo condomino sui beni o i servizi comuni, o ne rendano difficile l’esercizio o lo disturbino sensibilmente.

La inapplicabilità della norma alle delibere nulle deriva dal fatto che esse sono improduttive di effetti giuridici e non acquistano alcuna forza vincolante per i condòmini e, dunque, non necessitano di impugnazione.

Il condomino «potrà agire davanti all’autorità giudiziaria per ottenere una pronuncia che dichiari la nullità, ma potrà anche assumere un comportamento di attesa ed aspettare di reagire sotto forma di eccezione alla domanda giudiziale, allorché il condominio avanzi pretese che si fondano sulla delibera nulla» (Sforza).

L’onere della prova incombe sul condominio convenuto, per quanto attiene alla tempestività della convocazione dei condòmini, quale presupposto per la regolare costituzione dell’assemblea, mentre resta a carico dell’istante la dimostrazione dei vizi inerenti alla formazione della volontà dell’assemblea.
  • quelle prese fuori dall’assemblea;
  • quelle prese per corrispondenza;
  • quelle adottate con maggioranze inferiori a quelle prescritte;
  • quelle prese da assemblee irregolarmente convocate e/o costituite;
  • quelle aventi un oggetto impossibile od illecito;
  • quelle che ledono la proprietà del singolo condomino.
 
  • delibere che, a modifica del regolamento condominiale, introducono clausole limitative del diritto del singolo ad usare la cosa comune al pari degli altri condòmini;
  • quelle relative all’acquisto di un immobile;
  • quelle relative alla vendita di un immobile comune;
  • quelle attinenti innovazioni gravose e voluttuarie non suscettibili di proprietà separata;
  • quelle introducenti innovazioni per alterazione del decoro architettonico;
  • quelle stabilenti concessioni a terzi come la costituzione di diritti reali.
  • quelle che nella ripartizione delle spese comuni non tengono conto dei criteri fissati dalla legge.
La differenza tra nullità ed annullabilità di una deliberazione condominiale riveste una importanza fondamentale in relazione alla impugnativa della delibera assembleare.
Occorre precisare che a seguito della riforma del 2012, i casi di annullabilità sono espressamente previsti dal codice civile, che all’articolo 1137 sancisce:
“Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti. L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione delle deliberazioni con cui si vantano le nullità, invece, sono elaborazioni della dottrina che fa riferimento ai vizi generali del negozio giuridico: mancanza della volontà, contrarietà a norme imperative, mancanza dell’oggetto, ecc.”
La Corte di Cassazione ha chiarito il discrimine tra annullabilità e nullità delle deliberazioni, ovvero è stato stabilito che i casi di nullità possono essere ricondotti alla impossibilità ed alla illiceità dell’oggetto, mentre per tutti gli altri, si è in presenza di ipotesi di mera annullabilità.
Infatti in caso di nullità l’impugnativa può essere proposta senza limiti di tempo mentre nel caso di annullabilità, la stessa può essere richiesta entro trenta giorni dall’assemblea, se il condomino che vi abbia partecipato sia stato contrario o si sia astenuto, o dalla comunicazione del verbale, se il condomino non vi abbia partecipato.
Parimenti importante risulta il fatto che, in caso di nullità, l’impugnativa può proporla chiunque dei condòmini mentre nell’altro caso, soltanto colui che sia stato pregiudicato dalla deliberazione.

Fonti consultate:

  • Edizioni Giuridiche Simone
  • Condominio Web Avv. Michele Orefice
  • La Legge Per Tutti
  • Gazzetta Ufficiale
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